INTRODUZIONE
La natura a fornito a circa un migliaio di specie di serpenti, un aiuto
molto importante, per avere successo nella lotta alla sopravvivenza, il
VELENO un bene prezioso che i serpenti che ne sono dotati usano con parsimonia,
per procurarsi le prede, e in caso di necessità come arma di difesa
nei confronti di eventuali predatori o aggressori. Non tutti i serpenti
velenosi hanno avuto lo stesso processo evolutivo, e una testimonianza
importante di questi vari percorsi si può notare nel modo in cui
i serpenti mordendo inoculano il veleno nella preda, infatti esistono
ben tre tipi di apparati veleniferi, ognuno tipico con rare eccezioni
delle varie famiglie, si avranno cosi serpenti opistoglifi, proteroglifi,
solenoglifi.
OPISTOGLIFI
Questo è il "primo" livello evolutivo, i serpenti opistoglifi
presentano i denti atti ad inoculare il veleno nella parte posteriore,
della mascella presentano una profonda scanalatura, e sono direttamente
collegati con le ghiandole velenifere, in questo modo il veleno durante
il morso cola attraverso le scanalature direttamente nella ferita. Come
è facile intuire questo metodo presenta alcuni inconvenienti, il
serpente per iniettare una quantità sufficiente di veleno per uccidere
la preda è costretto a trattenere quest'ultima, "masticandola",
per far si che la ferita causata dal morso aumenti di superficie, facilitando
l'inoculazione e l'entrata in circolo del veleno. Negli opistoglifi, quindi
uno dei vantaggi maggiori che da il veleno, ossia quello di avere un contatto
diretto piuttosto breve con la preda si annulla, e soprattutto in caso
di serpenti che si nutrono di roditori il rischio di essere feriti aumenta.
Ma la natura a voluto aiutare questi "brutti anatroccoli", fornendoli
una muscolatura corporea molto sviluppata, (cosa rara tra i serpenti velenosi)
al pari dei serpenti costrittori, cosi quando mordono la preda, contemporaneamente
esercitano anche un azione costrittrice assai efficace. I generi opistoglifi
sono: Ahaetulla, Boiga, Cyclagras, Dispholidus, Heterodon, Macroprotodon,
Malpolon, Telescopus, Thelotornis, solo per citare i più noti.
PROTEROGLIFI
Qui siamo già ad un livello evolutivo superiore, in questo caso
i denti sono nella parte anteriore della mascella, a seconda dei generi
possono essere di due tipi, robusti e poco arcuati come nel caso dei cobra
oppure sottili e maggiormente ricurvi come nel caso dei mamba, questi
denti inoltre sono canicolati, e il veleno viene inoculato a pressione
nella preda, grazie alla muscolatura che al momento del morso comprime
con forza le ghiandole velenifere. Alcune specie appartenenti alla sottofamiglia
dei Bungarinae, sono dotati di un ulteriore sistema di difesa: sono in
grado di far schizzare il veleno con molta precisione fino a 3 m. di distanza,
questo è possibile grazie alla pressione esercitata dalla muscolatura
sulle ghiandole velenifere, e alla particolare conformazione dei denti
che presentano i fori di uscita non nella parte inferiore delle zanne,
ma anteriormente, nello specifico le specie "sputatrici" appartengono
al genere Naja, e Hemachatus. E' bene sottolineare che l'osso mascellarei
dei proteroglifi è fisso, non permette normalmente nessuna possibilità
di movimento anche se ci sono delle eccezioni, come i generi Acantophis,
Dendroaspis, e Oxyuranus, che possiedono una limitata capacità
di muovere l'osso mascellare, questo porta vantaggi al momento del morso
come vedremo più avanti. I serpenti proteroglifi sono quelli appartenenti
alle famiglie, Elapidae, Hydrophiidae. Questi serpenti durante la predazione,
possono sia trattenere la preda, per far entrare il veleno più
in profondità, sia morderla ripetutamente, e seguendola fino a
quando non muore a vista, e anche sfruttando la scia odorosa lasciata
da questa.
SOLENOGLIFI
Ed eccoci arrivati all'ultimo gradino, al meccanismo di inoculazione del
veleno più evoluto esistente tra gli ofidi, anche in questo caso
i denti sono posizionati nella parte anteriore della mascella, direttamente
fissati all'osso mascellare, quest'ultimo però ha la caratteristica
di poter ruotare fino a 90°. All'osso mascellare sono fissati 2 o
più paia di denti, il primo paio è quello usato dal serpente,
gli altri subentrano in caso vada perso per cause accidentali o naturali
una delle zanne, queste sono completamente canicolate, e possono raggiungere
dimensioni impressionanti, come ad esempio nel caso della Bitis gabonica
arrivano a misurare anche 5 cm. dimensioni di questo tipo sono raggiungibili
perché in fase di riposo i denti sono posizionati in posizione
orizzontale rispetto al palato, e protetti da una membrana carnosa. Mentre
al momento dell'attacco o della difesa, le zanne vengono erette in posizione
perpendicolare rispetto al palato, è facile capire che con questo
meccanismo l'efficacia del veleno è ottimizzata, visto che viene
iniettato come nel caso degli opistoglifici a pressione, ma a maggiore
profondità nella preda, che così muore in tempi brevi, da
pochi minuti a qualche istante dopo il morso. Questo permette al serpente
di avere un contatto minimo con la vittima, la velocità di un morso
è stimata a 1/40 di secondo, normalmente dopo il morso il serpente
lascia subito la preda, aspetta che muoia, ed inizia la ricerca sfruttando
la traccia odorosa, e aiutandosi con degli "sbadigli", che servono
per captare i segnali chimici emessi dall'azione del veleno, sembra che
anche per decifrare questi segnali chimici il serpente usi una parte specifica
dell'organo di Jacobson. Eccezione sono i solenoglifi arboricoli, che
non mollano mai la preda dal momento del morso al momento del suo completo
ingerimento, anche in questo caso comunque i rischi di venire danneggiati
sono minimi visto che si tratterò per lo più di sauri, anfibi,
e piccoli volatili.
Questo apparato velenifero è tipico della famiglia dei Viperidae,
che comprende i generi, Crotalus, Vipera, Echis, Daboia, Bothrops, Azemiops,
solo per citarne alcuni dei 34 conosciuti.
MELANI
Emanuele
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