Python molurus la schiusa

LA SCHIUSA 

La covata non viene mai abbandonata, se non occasionalmente per bere. Due giorni prima della schiusa la femmina allenta le spire attorno alle uova, talvolta si allontana, di regola sosta nelle immediate vicinanze del nido. Incidendo i gusci pergamenacei con il dente dell’uovo, iniziano a fuoriuscire i giovani pitoni. L’uscita puo’ essere molto lenta, arrivando a durare oltre 36 ore: in caso di temperatura ambiente molto alta e scarsa umidita’, le uova si disidratano e gli involucri diventano rigidi e resistenti. Nel 1992 allo Zoo di Roma e’ nato un pitone che a causa del guscio troppo indurito, non poteva uscire dall’uovo a ben 15 giorni dall’inizio della schiusa. Quell’uovo, prelevato per i controlli di rito essendo trascorso ogni ragionevole termine di tempo necessario alla schiusa della covata, una volta aperto ha rivelato la presenza di un piccolo vivo, ormai allo stremo delle forze. Reidratato, l’individuo ha seguito gli stessi ritmi alimentari e di accrescimento dei fratelli.
Una osservazione effettuata nel Rettilario nel Giugno 1995, ha evidenziato un aspetto peculiare del comportamento della femmina in cova. La rottura di due delle uova della nidiata e la fuoriuscita di parte del liquido amniotico in esse contenuto, hanno probabilmente causato l’allontanamento della madre dalla massa delle uova, la cui cova non e’ stata piu’ ripresa. Anche i sussulti del corpo sono cessati quasi subito. Una volta asportata la covata tre giorni dopo l’accaduto per il proseguimento artificiale dell’incubazione (mancavano oltre 30 giorni alla schiusa, poi verificatasi l’11/7/’95), a 18 giorni dall’abbandono delle uova la femmina ha ripreso ad alimentarsi, ignorando il sito di cova da lei prescelto ed utilizzato poco prima. Questo episodio, si era manifestato nei medesimi termini nel 1990, alcuni giorni prima del termine naturale del periodo di incubazione.
Un punto che l’autore ritiene sia interessante approfondire con tecnologie piu’ affidabili della sola e semplice percezione olfattiva, e’ la constatazione della presenza di una esalazione acre, emessa dalle uova dischiuse, imputabile all’odore del liquido amniotico o dei suoi residui in decomposizione al contatto con l’aria, che agirebbe da meccanismo innescante il comportamento di “non ritorno” alla cova. Questa emanazione caratteristica impregna il suolo e l’ambiente circostante in modo percepibile per mesi (ne e’ risultato “marcato” persino il vetro del terrario, contiguo al nido); lo si e’ riscontrato anche nell’incubatoio artificiale utilizzato piu’ volte negli anni, per portare alla schiusa alcune quote di uova prelevate dalle nidiate di 3 specie di pitone in riproduzione nel Rettilario dello Zoo di Roma. Anche l’aumento dell’attivita’ all’interno delle uova che sono fra le spire del pitone, e’ sicuramente un segnale inequivocabile per la futura madre, che e’ in grado di captare tali vibrazioni con tutto il corpo. Indagini chimiche potrebbero sicuramente dissipare gli interrogativi che ci si pongono in riferimento ai periodi piu’ distanti dal giorno della schiusa, quando l’attivita’ di un embrione non e’ paragonabile a livello di percezione esterna, all’attivita’ del medesimo nelle ore precedenti l’uscita dall’uovo.
A parte la disidratazione, un momento delicato per i nascituri e’ rappresentato dal rischio di incidere col dente dell’uovo, il proprio guscio nel punto di contatto con quelli adiacenti. Entrando nel liquido amniotico dell’altro uovo, i piccoli possono morire esausti, per annegamento (Ross, 1978). Una volta effettuata la prima muta, i giovani pitoni lunghi mediamente 60-65 cm, allevati singolarmente in terrari appositi, vengono alimentati con topi adulti. La letteratura riporta tre nascite gemellari per questa specie (Ross, 1978). Un’altra nascita gemellare (Estate 1986) e’ stata riferita dal Capo-guardiano del Rettilario dello Zoo di Londra in tempi piu’ recenti all’autore di questo scritto (Ball, pers. com., 1987).

Mauro Picone

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